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Chieti Ospedale Civile SS. Annunziata

Ospedali Sud > Regione Abruzzo > Chieti e provincia

Il contenuto della scheda proviene, integralmente, dal testo: La storia dell’Ospedale civile SS. ANNUNZIATA di Chieti  - Mario Zuccarini 1958

L'origine del pio istituto è ignota come ignoti ne sono i fondatori, comunque ne è accertata, per atti pubblici e amministrativi, la legale esistenza.
Nel 1330 esisteva in Chieti l'Ospedale Ave Grazia Plena.
Sull'Ospedale di Chieti il Municipio esercitò sempre il suo diritto di patronato: fin dall'anno 1533, come si rileva dai verbali dell'antico parlamento della città, lo stesso municipio nominava due  governatori con l'incarico di amministrare l'ospedale. Tali governatori rimasero in carica fino all'anno 1809 in cui, in seguito ai nuovi organici sopravvenuti, l'amministrazione fu devoluta alla Commissione Comunale di Beneficenza, alla quale, com'è noto, la legge del 3 Agosto 1862, N. 753, sostituì le cosiddette congregazioni di Carità.
Grande importanza ai fini dell'assistenza ai malati, ha la venuta a Chieti dei Padri Crociferi, la Congregazione fondata da quel precursore della Croce Rossa che risponde al nome di S. Camillo De Lellis.
Nel 1606 S. Camillo de Lellis fondò una casa di Crociferi anche a Chieti nei pressi dell'Ospedale il quale  passò poi alle dipendenze della nuova Congregazione.
L'opera dei Crociferi fu indubbiamente assai lodevole e basterà per illustrarla quanto il Nicolini ne dice: « tra l'altre opere di carità, che da' RR. Padri di questa santa religione si fà è in aiutare i loro prossimi nelle loro maggiori necessità, così corporali, come spirituali, visitare i poveri carcerati, confessandoli, e facendo ivi altri esercizi spirituali, e di più esercita un opera pia, la quale è assai maggiore di tutte, et è di andare a confortare i poveri condannati a morte, aiutandoli a ben morire, per far di essi ricca preda al nemico dell'humana natura, a gloria del Sempiterno Monarca. E finalmente non mi voglio affaticare a raccontarvi la gran carità e diligenza, che s'usa a gl'infermi, et indifferentemente a tutti dell'Hospidale, perché son certo, che tutte queste lodevoli e sante opere vi sono chiare e manifeste ».
Chi però fece risorgere l’ospedale fu il canonico Giovanni Antonio Nolli (nacque a Chieti nel 1726) che, compiuti i primi studi, abbracciò la vita ecclesiastica distinguendosi per santità di vita e per un grande spirito di carità cristiana.
Il Ravizza nelle sue Notizie biografiche che riguardano gli uomini illustri della città di Chieti (Napoli, 1830), così lo ricarda: Eravi in Chieti un antico Ospedale. Egli lo restaurò dai fondamenti nel modo, com'ora si vede, e ne accrebbe la rendita. Ricco di casa sua, e secondato da' suoi degni Nipoti, versò quanto aveva in beneficio del luogo Pio. Ma non bastando il suo patrimonio, si pose in giro, per invocare la pietà di Fedeli, fino al termine di sua vita, che avvenne il 21 Aprile 1792 ».
La sua fu un'opera lunga, difficile, certo scoraggiante, ma non si arrese di fronte a ostacoli, che a quei tempi dovevano certamente essere ben più seri di quelli dei nostri giorni. Ebbe fede e la forza di perseverare nel suo proposito; e il nuovo Ospedale di Chieti risorse sopra l'antico, con un nuovo spirito. L'ex Ospedale Civile, da lui restaurato dalle fondamenta, ed a cui lasciò tutto il suo vistoso patrimonio.
È molto interessante l'esame delle condizioni tecnico-sanitarie-organizzative dell'Ospedale nella prima metà del secolo XIX.  Quadrini (op. cit.) ce ne dà un quadro esatto e preciso che interessa riportarlo, almeno nella sua prima parte.
«Questo stabilimento occupa certamente un luogo mediocre fra le opere di simil natura.
In esso si dà asilo, e mèdela a tutti gl'infermi poveri, dell'uno e dell'altro sesso; nonché a carcerati, ed alle prostitute. Il locale quantunque non vasto è stato nondimeno nel miglior modo possibile condizionato ed abbellito.
Gli infermi vengono collocati nei due piani, superiore ed inferiore, di cui è composto un tal stabilimento. Nel superiore vi sono tre sale ed una stanza di mezzana grandezza. Delle sale una è destinata per gli uomini poveri, una per le donne povere, e l'altra per le donne detenute, e per le prostitute; e la stanza poi è addetta per gli operati di chirurgia. Nel piano inferiore evvi una sola corsia, che contiene gl'infermi carcerati. Gli equipaggi, ed i letti sono attualmente più decenti che per lo addietro. Gl'infermi sono bene assistiti, e lodevolmente mantenuti.
Annesso a questo stabilimento esiste il Convento dei Padri Crociferi. Prestano questi religiosi l'opera loro nell'assistere gl'infermi in ciò che riguarda lo spirituale.
Gli obblighi, e le attribuzioni di ognuno degl'impiegati nel servizio di questo stabilimento poggiano su un ben fondato regolamento; ed un direttore, quale rappresentante la commissione amministrativa di beneficenza, ne sorveglia immediatamente l'adempimento di tutte le sue parti.
Il corpo sanitario addetto alla cura degl'infermi poveri è formato di primari, e più famigerati Professori della città. Sono questi distinti in due classi: Medici e Chirurghi Ordinari: Medici e Chirurghi Onorari. Quest'ultima classe talora manca.
In virtù di apposita Ordinanza della Commissione amministrativa di beneficenza il servizio sanitario nello stabilimento per gl'infermi poveri si esegue per giro prestandosi per tre mesi da ciascuno di menzionati medici; ed i Chirurghi osservano il giro di due mesi di servizio cadauno, vale a dire quattro mesi per ognuno nel corso dell'anno.
Gli infermi in generale sono con diligenza curati; ed in particolare quelli attaccati da morbi gravi, sui quali tanto i Medici, che i Chirurghi si occupano per la maggiore attenzione, ed esattezza. I Medici mettono in opera ogni presidio dell'arte per la salvezza di quegli infelici sofferenti. I Chirurghi non trascurano di accingersi con maestria, e precisione della pratica delle più difficili operazioni, allorché dietro apposito consulto se ne conosce la convenienza.
L'Ospedale continuò così la sua vita, migliorando a poco a poco la sua attrezzatura e divenendo anche palestra di insegnamento e di educazione scientifica per gli studenti di medicina.
Nella seconda metà dell'Ottocento l'arrivo delle Suore « Figlie della Carità di S. Vincenzo di Paoli ».
Un nuovo atto Ufficiale che riguarda l'Ospedale è l'approvazione dello Statuto organico della Congregazione di Carità di Chieti in data 25 Maggio 1875 fatta da Vittorio Emanuele II e con essa degli statuti relativi all'Ospedale civile di Chieti. Lo Statuto dell'Ospedale Civile si componeva di 16 articoli. Dall'esame di essi si rileva che l'Ospedale era retto secondo le norme tracciate dalla legge 3 Agosto 1862 e dal Regolamento 27 Novembre dello stesso anno e che esso aveva per scopo di « ricoverare e curare gl'infermi poveri di ambo i sessi del Comune di Chieti affetti da soli morbi curabili »>.
I mezzi con cui l'Ospedale provvedeva allo scopo, consistevano in stabili, canoni, censi, prestazioni, rendita. Per il servizio dell'Ospedale erano stabiliti i seguenti impiegati: a) un direttore, b) due medici e due chirurghi ordinari, c) un farmacista, d) un applicato addetto all'economato, e) un infermiere capo ed un numero di infermieri proporzionato a quello dei malati, f) uno o più inservienti secondo il bisogno.
Un personale, come si vede, limitato, tuttavia sufficiente per assolvere il compito dell'assistenza dei malati di quel tempo. Annesso allo Statuto approvato era anche il « Regolamento d'ordine e di servizio interno » composto di 89 articoli.
Il numero dei posti è ancora insufficiente, i locali sono angusti, le spese molto forti, che non possono essere coperte dalle rendite di cui dispone l'Ospedale. Un altro documento del 1884, ci dà un'idea precisa ed esatta delle condizioni dell'Ospedale. In un opuscolo « Sulle condizione igieniche della Città di Chieti  (Chieti, Ricci, 1884) si accenna alle condizioni dell'Ospedale Civile; il nostro Ospedale Civile tuttoché reggasi da oltre tre secoli, e sia capace di accogliere un trenta malati, in media non può mantenerne che 15 o 20, giacché la rendita man mano formatasi con lasciti testamentari.
In sostanza, alla fine del secolo scorso, l'Ospedale Civile di Chieti era ancora un Istituto di modeste proporzioni. ove venivano  ricoverati unicamente i poveri della città, e in numero molto limitato.
Nel 1905 il nosocomio era ridotto in tali deplorevoli condizioni da indurre l'autorità politica a minacciarne la chiusura per misura di igiene pubblica.
Fu allora che, chiamato a presiedere la Congregazione di Carità il Barone avv. Francesco Durini, uomo energico e illuminato, ciò che poteva in un primo momento sembrare una utopia o un sogno irrealizzabile, divenne ben presto un fatto compiuto, e il vecchio ospedale dalle miserevoli condizioni igieniche, ridotto ormai ad infido asilo di pochi cronici, si trasformò rapidamente in un Istituto che rispondeva a tutte le esigenze della scienza medica del tempo.
L'avv. Durini per raggiungere lo scopo dovette superare non lievi difficoltà: lo scetticismo di alcuni, le contrarietà più o meno larvate dei tanti misoneisti locali e degli interessati, le difficoltà di carattere tecnico e finanziario. Tuttavia l'opera del Durini dette un impulso notevole alla vita dell'ospedale.
L'Ospedale era costituito da due corpi di fabbrica, di figura rettangolare, indipendenti l'uno all'altro, ma comunicanti tra loro per un passaggio coperto e per una scala di servizio. Uno di questi fabbricati comprendeva la lavanderia-stireria, al piano terreno; la sezione isolamento al primo piano. L'altro fabbricato comprendeva rispettivamente:
piano terreno: atrio d'ingresso, ambulatorio e sala d'aspetto, laboratorio e museo anatomo-patologico, camera mortuaria e sala delle autopsie, sala degli apparecchi per radioscopia e radiografia, bagni, cucina e dispensa;
primo piano: abitazione delle suore, gabinetto di elettroterapia e bagno idro-elettrico, sezione medica (una sala uomini, una sala donne), sale di maternità;
secondo piano: sezione chirurgica (due sale per donne, una sala per uomini), quartiere operatorio, camera di medicazione, gabinetto del direttore e biblioteca;
terzo piano: camere per pensionanti, camera per medicazione, camera da bagno.
Come si vede non si può dire che i locali dell'ospedale agli inizi del secolo corrente fossero pienamente rispondenti alle norme più elementari di funzionalità e di praticità.
Nel 1913 il personale sanitario del reparto chirurgia era costituito dal Primario e da due assistenti i quali ultimi avevano il compito di redigere le storie cliniche dei singoli pazienti, praticare le ricerche di laboratorio, soprintendere alla preparazione dei malati da operare, assistere alle operazioni chirurgiche, eseguire le medicature degli operati. Alla assistenza diretta degli infermi erano addette sei infermiere compresa la caposala.
Di seguito alcune indicazioni di vita quotidiana del padiglione chirurgico: ogni malato, all'atto del suo ingresso in Ospedale, prende un bagno caldo di pulizia. I settici e i suppurati vengono assegnati al padiglione di isolamento; gli altri infermi sono ricoverati nelle sale comuni o nelle camere speciali per pensionanti. Di ogni malato viene scritta, in apposita tabella, una succinta anamnesi, seguita dall'esame obbiettivo e dal risultato delle ricerche di laboratorio a scopo clinico. Stabilita la diagnosi e la necessità di un intervento attivo, l'operando viene purgato, preferibilmente con purgante oleoso, la mattina precedente all'operazione; nel pomeriggio prende un bagno, e viene sottoposto alla tricotomia e all'impacco asettico (larghe pezze di garza sterilizzate all'autoclave) dopo lavaggio con benzina e alcool, senza saponate nè spazzolamenti. »
« Il tavolo di operazione è ricoperto di una larga tela gommata già immersa in soluzione di sublimato all'uno per mille, sopra alla quale è disteso un lenzuolo sterilizzato; prima di esservi collocato, l'operando è completamente denudato, quindi gli si copre il capo con berretto o cuffia sterilizzata, e, quando debbasi praticare una operazione ginecologica, gli arti inferiori vengono ricoperti con due lunghi sacchi chiusi di tela, che, infilati a guisa di calze, portano all'estremo aperto un elastico che si stringe attorno alla radice della coscia. >>
« Frattanto l'operatore, gli assistenti e l'infermiera procedono alla loro disinfezione: indossata una veste di bucato, con maniche corte fin sopra al gomito, dopo una accurata toletta delle unghie, si sottopongono al lavaggio con acqua calda, sapone e spazzola per almeno 15 minuti; quindi si lavano ripetutamente in alcool denaturato cui si addizionano poche gocce di tintura di iodio, e finalmente immergono la mano e l'avambraccio in larghi catini contenenti una soluzione di sublimato all'uno per mille: dopo 3-4 minuti di immersione, le mani e l'avambraccio vengono asciugati con tela sterilizzata, quindi si indossa una seconda veste sterilizzata, ed un berretto-maschera di garza, che ricopre il capo e il volto, lasciando ben libera la visione e la respirazione. »
« Subito dopo, uno degli assistenti e la signorina fanno aprire dall'infermiera il cestello estratto dall'autoclave, ne tolgono una larga tela e la distendono sull'ampio tavolo di ferro con piano di vetro: sulla tela sterile vengono collocati gli strumenti, precedentemente disinfettati con la ebollizione in soluzione alcalina, la capsula della seta, i rocchetti del cagut, i pacchi di pezze di garza e le tele da isolamento. Frattanto l'altro assistente e l'operatore, fatto  togliere l'impacco di protezione, con un batuffolo di garza, imbevuta di tintura iodica, spalma abbondantemente la regione su cui deve cadere l'intervento, oltrepassandone largamente i limiti: quindi con larghe tele sterilizzate, fissate da pinzette ad uncini, isola il campo operativo »>. « A questo momento soltanto, cioè quando tutto è pronto per incominciare l'operazione, nei casi in cui sia indicata la narcosi generale, un assistente incomincia la somministrazione del cloroformio. Nei casi invece in cui sia indicata la rachianestesia, prima ancora di procedere all'isolamento del campo operativo, l'operatore pratica, con le solite norme, la puntura spinale e l'iniezione del liquido anestetico». « Ottenuta l'anestesia completa, s'inizia l'operazione che si ha cura di compiere quanto più rapidamente è possibile »>.
Il reparto della medicina generale non era dissimile da quello della chirurgia. Anche qui il personale era molto modesto: un primario e tre assistenti, oltre a una decina di infermiere addette alle corsie e alle stanze a pagamento.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale trovò l'Ospedale di Chieti in prima linea nella assistenza ai malati sia civili che militari. Ma l'opera più intensa venne svolta durante il triste periodo che corre tra il settembre 1943 e il giugno 1944. La dichiarazione di Chieti città aperta fece riversare nella città gran parte della popolazione sfollata dai Comuni della provincia. Da poco più di 30.000 abitanti la città, nel breve periodo di un mese, raggiunse una popolazione residente di circa 110.000 abitanti, e seppe superare momenti difficilissimi soprattutto per la scarsezza dei viveri e per l'assistenza (intesa nel più largo senso letterario della parola) agli sfollati, moltissimi dei quali ammalati. In questa opera l'Ospedale di Chieti non venne mai meno allo spirito della sua tradizione: sanitari, suore, personale infermieristico, si prodigarono oltre ogni limite per fronteggiare una situazione pesantissima.
É ormai accertato che di fronte a una disponibilità di poco meno di 200 posti letto l'Ospedale dovette far fronte alle esigenze di circa un migliaio di ricoverati al giorno. Alla deficienza delle attrezzature si supplì con un altissimo spirito di sacrificio e con un elevatissimo senso del dovere. Giorno e notte i sanitari si prodigarono nel curare soprattutto i feriti provenienti dalle linee del Sangro martoriato: prima tedeschi, poi italiani, inglesi e americani, quando la linea del fronte fu superata dagli eserciti alleati.
Fu in conseguenza della guerra che sorse in tutta la cittadinanza l'idea di dare finalmente all'Ospedale di Chieti una sede più ampia, degna della funzione che il nosocomio aveva assunto in tutta la regione. Infatti nel 1949 l'Ospedale si trasferì nella sede  un tempo occupata dal Convitto nazionale Dante Alighieri. Gli ambienti luminosi e vasti, le possibilità infinite di ampliamento e di sviluppo nel futuro, mostrarono quanto la scelta fosse stata felice.
In poco più di cinque anni l'Ospedale di Chieti fu completamente trasformato ed ebbe a disposizione una attrezzatura scientifico-sanitaria di prim'ordine: ampliati i reparti, più che triplicati gli impianti sanitari, attuata una vasta serie di riforme.
L'organico  del nosocomio risultava composto di 8 primari (medicina, chirurgia, radiologia. ginecologia, otorinolaringoiatria, oculistica, ortopedia e anatomopatologia), 5 aiuti, 13 assistenti, 1 farmacista, 1 direttore sanitario, 3 ostetriche, 3 tecnici di laboratorio per analisi e ricerche, 13 infermiere diplomate, 77 portantine, oltre a tutto il personale addetto alla amministrazione, ai servizi tecnici e di cucina, ecc.
La capacità ricettiva dell'Ospedale di Chieti superava  i 350 posti letto. In questi ultimi anni nell'Ospedale furono istituiti un Centro per la diagnosi e la cura dei tumori, un centro trasfusionale e banca del sangue, un centro cardioreumatologico. Annessa all'Ospedale è sorta una Scuola convitto per infermiere professionali, frequentata ogni anno da 34 allieve.
L'attrezzatura del Centro diagnosi e cura dei tumori è stata completata nel 1955. Il Centro disponeva  dei mezzi più moderni sia per la diagnosi precoce del male, sia per il trattamento terapeutico.
Esistevano ben tre sezioni di radiodiagnostica, che permettevano non solo la esecuzione di radiografie standard, ma anche delle brillanti tomografie, delle radiografie direttamente ingrandite (assai utili nella diagnosi precoce delle affezioni tumorali delle ossa), esami angiografici (radiografie dei vasi arteriosi e venosi mediante mezzi di contrasto), ecc.
Vi era una disponibilità di radium elemento confezionato in modo da poter essere applicato nei più svariati modi; un apparecchio di roetgenterapia fissa a 200 volts; un apparecchio di plessioterapia; un apparecchio di dermoterapia; due apparecchi di terapia Roentgen di movimento, in particolare pendolare e convergente; infine, in un apposito locale blindato, il più moderno ritrovato della scienza per il trattamento dei tumori: il betatrone.
L'Ospedale di Chieti continua il suo cammino, forte dei suoi secoli di storia, forte di quella fede che animò il Canonico Nolli forte soprattutto della consapevolezza di assolvere la sua missione di carità e di umana solidarietà in un mondo tanto tormentato e tanto dissociato spiritualmente.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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